E’ la chiusura del cerchio, il finale naturale, la domanda necessaria, imprescindibile, il riassunto che riunisce, che agglomera, che fa titoli di coda, che conclude: “Vuole un sacchettino?”. La domanda viene posta d’ufficio in tutti i negozi, qualsiasi cosa uno acquisti, comprensibile se gli oggetti sono diversi, ma comunque anche se l’oggetto e` uno solo e starebbe comodamente in tasca o nella borsa, tipo una biro, o un accendino. “Vuole un sacchettino?” scatta inesorabile. Spesso il sacchettino e` perfettamente inutile. Il negoziante mette l’oggetto nel sacchettino, lo si prende, lo si tiene in mano o lo si ripone in una zaino o in una borsa o in una tasca, poi, una volta raggiunta la meta casalinga, lo si riprende, si butta via il sacchettino appallottolandolo e si ripone l’oggetto. A volte il sacchettino non lo si appallottola neanche, lo si tiene li`, sul tavolo. E li resta come fossile per mesi. Finche` un giorno qualcuno, quasi sempre una mamma o una moglie, fa:” E quel sacchettino? Si puo` buttar via o deve star li` in eterno?”. Risposta: “No, no, buttalo pur via”. Il negoziante in pratica cerca di agevolarti dandoti il sacchettino ma ti fa entrare nella grande spirale mondiale dei sacchettini, un mondo fatto di contenitori di carta o di plastica che restano, vivono insieme a te, sono muti testimoni delle tue intimita`, finche` non vengono piegati e messi via da massaie solerti. E allora nel pertugio sotto al secchiaio, o accanto alla pattumiera, c’e` quasi sempre uno scaffale ricolmo di sacchi e sacchettini che potrebbe un giorno tornare utili. “Antenore, prendi un sacchetto, ce ne sono sotto al secchiaio…”. Quando Antenore andrà a cercare il sacchetto giusto non lo trovera` mai. Li trovera` o piccolini, da contenere al massimo due pacchetti di sigarette o pescherà dei sacconi enormi, delle specie di lenzuola sacchettate, che possono trasportare l’imballo di un aspirapolvere. Commento di Antenore: “Soccia du maròn il sacchettino. Adio che t’amavo s’ai ne` on cal vaga ban”. Il mondo e` fatto di tante cose, una di queste sono i sacchettini. Quelli di plastica dei centri commerciali sono capaci di moltiplicarsi a vista d’occhio in una casa e puntare alla sua conquista. Per guadagnare spazio alcuni sono conservati furbescamente annodati e certe donne delle pulizie, dalle manone ucraine, a volte fanno dei nodi tali che poi si odono, fino alle piu` lontane lande, smoccolamenti biblici da parte dei potenziali fruitori del sacchetto stesso.
Ma i sacchettini si espandono anche fuori dagli appartamenti perche` molti li abbandonano su panchine, muriccioli, inferriate, sedili posteriori di macchine, parabrezza di scooter, autobus, e soprattutto accanto a contenitori del vetro. In quest’ultimo caso la ragione e` semplice: uno porta da casa le bottiglie vuote da buttar via che sono per esempio tre e, poiche` nell’apposita campana si puo` introdurre solo il vetro, il sacchettino rimane in un posto che viene comunemente denominato “stra i maroni”, localita` amena dell’appennino umano. E allora lo si appoggia li fuori, che non e` quasi mai un bel vedere. Il sacchettino impazza insomma. Viene offerto sempre con la domanda classica e se risponde “no me la dia pur cosi`” viene guardato in forte sospetto. Dove mettera` quella cosa senza sacchettino? Che contenitore avra`? Cosa significa il suo gesto? L’universo dei sacchetti si riduce poi a volte (e in questo caso si assiste a uno spiazzamento dell’asse) quando il pensionato della piazza, parlando con un “collega” e riferendosi a un loro amico che si sta allontanando, dice: “Povero Gisto. Ha il sacchettino…”. Riferendosi a un problema diverso, di cui non e` sede discorrere.
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